30 novembre 2011

Espiazione

Avrebbe potuto camminare in eterno.
Mentre camminava non pensava alla morte, e si dimenticava di respirare: per una volta, inspirava ed espirava inconsciamente.

Di norma sentiva il cuore battere all'impazzata, sopraffatto da un'ansia perenne. 
Soprattutto quando sapeva di dover incontrare persone, per quell'inevitabile necessità di non seppellirsi nella propria tomba di solitudine, apparendo ogni tanto sorridente al mondo, come uno splendido fantasma rasato di fresco e profumato di acqua di colonia.
Ma anche nell'accoglienza del silenzio casalingo, non poteva non pensare alla fragilità del suo corpo, delle sue gambe e delle sue braccia. 
Essere ossessionati dalla morte è una condanna in vita.

Pioveva.
Il pensiero di mettersi al riparo lo sfiorò, ma solo per un attimo: era necessario prestare massima attenzione ai passi, poiché il terreno diventava fangoso molto velocemente, e la strada era ancora lunga.
Sapeva che sarebbe tornato a casa zuppo, e che Giulia lo attendeva con i bambini.
Si guardò le mani e con orrore notò che apparivano cosparse di profondi tagli inesistenti, le linee della vita, una ferita per ogni volta che aveva allungato uno schiaffo ad uno di loro, abbruttito dalla cecità violenta dell'alcool.

Giulia mangiava e vomitava. 
Quando lui ottusamente ostacolava i suoi propositi, lei gli diceva, colma di rabbia e di dolore: tu bastardo non puoi capire cosa si prova. Il dolore mostruoso, il tuo corpo che deve assolutamente liberarsi, al punto da non riuscire a trattenere neanche uno spillo di quello che ha dentro.
E più lei vomitava, più lui si abbruttiva, imprigionandosi volontariamente nell'angusto stanzino colmo di libri, nel quale la montagna di bottiglie vuote si univa all'odore rancido del male che aveva impregnato le pareti.
Entrambi facevano orribili sogni inconfessabili: membra sconvolte dalle lamiere, e corpi ancora coscienti trafitti nell'ultimo spasmo di vita, intenti a chiedere perdono.

La pioggia si era fatta più forte.
Sentì il bisogno del vino rosso scorrergli nella gola, raschiargli l'anima ed il dolore.
Si voltò, e vide i suoi passi impressi nel fango. 
Ma il fango, invece di appesantire il suo ritmo, gli diede vigore. 
La pioggia e gli alberi gli narravano il tempo immobile che lui non avrebbe mai potuto condividere, quel trascorrere così lento da apparire eterno.


Voltatosi nuovamente percepì quanta strada aveva percorso, e per l'ennesima volta notò la profondità dei suoi passi sul terreno. Avrebbe potuto ripercorrerli uno per uno, spurgando le tossine del male, tentando di liberarsi dai demoni che aveva collezionato ed accolto.

Ma davanti a lui apparivano nitide le prime luci della città, avvolta nel silenzio del temporale.
Non vedeva il palazzo, ma poteva immaginare il volto esile di Giulia, i suoi capelli dolenti, la sua pelle tesa ed ingiallita.

Decise che avrebbe camminato in eterno.
Decise che li amava più di ogni altra cosa al mondo.
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