20 gennaio 2012

Le città parlano

C'é un paio di scarpe che mi piacciono moltissimo in un negozio di piazza Unione Sovietica.
Sono marrone scuro, lucide, lacci sottili, senza ghirigori.
La prima volta che le ho viste costavano duecentodieci euro. Poi sono calate a centocinquanta, ed ora alla fine dei saldi sono scese a centodieci, ed ho proprio deciso di comprarle.
Mi emoziono sempre quando devo spiegare cosa voglio ad una commessa.
Indico le scarpe con la mano tremante, e le parole come ogni volta mi si ricacciano in gola.
"Testa di moro", dice lei. Ed io approvo, mentre lei mi passa il calzascarpe e me le fa provare.
Non posso credere di averle ai piedi, sono davvero scarpe magnifiche.
Estraggo la mia carta di credito, nuova, fiammante, pago, ed esco felice dal negozio con le preziose "testa di moro" riempite di carta appallottolata ed inguainate in un elegante sacchetto di tela.

Mi ha fatto un gran bene trasferirmi qui, anche se la mamma non voleva. E' sempre stata molto protettiva nei miei confronti, ma questo lavoro era un occasione d'oro per me. 

La città è bella, e grande, e mi perdo continuamente.
Qui non è come a casa: le strade sono gigantesche, il freddo è più freddo, rigido, fermo. 
Non come quel vento di mare che fa cascare le orecchie. 
Io e papà pescavamo, anche quando c'era vento, lui mi faceva mettere la calotta e gli stivali di gomma, e mi sentivo bene.
Papà sarebbe orgoglioso di me, se sapesse quanto sono bravo al lavoro.
Ho una grande scrivania, ed un computer portatile molto moderno. Ho un biglietto da visita di una importante Compagnia, ed il mio titolo è altisonante: "Attuario Junior".
La Compagnia ha un palazzo tutto suo nel centro della città, con enormi corridoi ed un sacco di dipendenti indaffarati. Le porte sono arancioni, e tutti i piani sono colorati in maniera diversa, e ci si dà tutti del tu, anche con i super capi.
L'attuario è un lavoro misterioso e per questo mi piace. In pratica grazie alla mia bravura con la matematica interpreto gli eventi del mondo e li trasformo in statistiche, che poi la Compagnia utilizza per decidere quanto farsi pagare dai suoi clienti.
E' un po' come predire il futuro.

Ogni giorno faccio lunghe passeggiate.
Penso ad una parola, ad esempio "Amore" o "Solitudine", e percorro le strade ed i vicoli seguendo la forma delle lettere.
Ogni parola genera un suo itinerario, la cui ultima lettera deve ricondurmi inevitabilmente a casa.
Se mi poteste seguire dall'altro vedreste giganti parole comporsi con i miei passi.
E' un bel modo di esplorare la città. 
Ripeto gli itinerari che mi piacciono di più: ad esempio "Mistero", o quello divertente "ZigZag".
Durante il cammino guardo le vetrine, e soprattutto le ragazze. 
Qui ci sono ragazze bellissime, ben vestite, con i loro stivali ed i loro cappellini. A volte mi fermo e cerco di darmi un'aria interessante, oppure provo ad incrociare lo sguardo con una di loro che mi colpisce particolarmente: ma è proprio quello il momento in cui il mio tic diventa più forte ed incontrollabile.
Al lavoro nessuno me lo fa pesare, ma per strada o sulla metropolitana la gente tende a guardarmi con diffidenza, e questo mi dispiace moltissimo.
Non posso farci niente: la dottoressa dice che devo imparare a convivere con i miei tic. Ma lei non sa cosa vuol dire avere un tic ventiquattr'ore su ventiquattro.
Mi piacerebbe molto avere una ragazza, bella come la dottoressa.
Non ho mai avuto una ragazza.

Il mio amico Marco mi dice che non mi perdo molto, che le ragazze creano solo problemi.
Lui ha avuto delle ragazze ed ogni tanto mi racconta che era innamorato di una in particolare che però non lo ama più, ed anzi, non si ricorda neanche più di lui.
Marco lavora alla Compagnia da qualche anno, ma ho paura che non durerà molto: alcuni giorni arriva in ufficio tutto trasandato e che puzza di alcool.
Sta quasi tutto il tempo da solo a disintegrarsi con il vino a parte quando ci sono le partite di calcio. Lui ama le partite di calcio di tutte le squadre, e quando c'è la Champions League io vado da lui e passiamo la serata sul suo divano a goderci le partite. 
La mia squadra preferita è il Barcellona, che anche a lui piace, ma ci gode quando perde perché sono troppo forti. 
Il mio calciatore preferito è Leo Messi, mentre il suo è Zvonimir Boban, che però non gioca più.

Ogni tanto usciamo anche, lui invita alcune colleghe carine e mi porta con loro a fare l'aperitivo, che è una sorta di enorme buffet pazzesco, dove non puoi non ingozzarti.
Mi piacerebbe anche essere brillante come lui, le ragazze lo ascoltano e scherzano e fanno le oche.
Però poi una delle volte che eravamo sul divano a vedere le partite, aveva bevuto un sacco ed ha detto che avrebbe voglia di uccidersi, ed allora da quel giorno ho una gran paura che Marco si uccida, perché in effetti rimarrei solo, e poi perché lui, in fondo, è un brav'uomo e mi fa un po' pena.

Questo è l'inizio della storia: mi trovo qui, in una città nuova, per la prima volta da solo.
E' come un grande mare: cammino e scrivo storie con i miei passi sui marciapiedi.
Mia mamma al paese è preoccupata. Ma in fondo è felice per me, perché a scuola, al liceo, all'università, io ero sempre scartato, sempre diverso, sempre solo, per i miei tic, per la mia malattia, e per la mia bravura con i numeri.
Ed io non sono cattivo, e non sono neanche vendicativo.
Ma ho perso sempre, ed ora voglio che arrivi il momento in cui, anche io, qualche volta vinco.
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