04 ottobre 2012

Allora cos'é l'amore

- sai ma', avrò avuto undici dodici anni e mi ricordo di aver avuto la sensazione che tu volessi andartene via.
Lei mi guarda, ed il muro della sua perenne severità crolla, dopo tanti anni.
Continuo - l'ho sempre saputo che non ce la facevi più, ma che restavi per tenerci uniti. Non dicevo niente perché facendo finta di niente tutto andava avanti uguale e voi eravate sempre lì. Sono cresciuta sapendo che non sei stata felice per la maggior parte della tua vita.
Osserviamo in silenzio Alberto che ci sorride, e mentre gli metto il borotalco gli si rizza il pisello e ci viene da ridere. - è proprio un ometto.
Io e Paolo abbiamo deciso di avere una bambina. Dovremo mettere la X sul sesso stavolta.
Con questo tipo di inseminazione artificiale vengono fuori principalmente maschi.
- poi papà aveva avuto il cancro e tu ti sei dedicata a lui tutto il tempo.
Andavamo avanti e indietro dall'ospedale per la chemioterapia.
Io credevo che la chemioterapia fosse una cosa complicatissima, fatta con macchinari sofisticati e pericolosi. Invece si trattava solo di flebo, decine di flebo. Lui usciva e stava benissimo, come se gli avessero iniettato il siero della vita eterna, invece dentro moriva.
- Voleva andare a caccia, ti ricordi ma'?
Mettiamo Alberto nella culla e ci sediamo sugli sgabelli in cucina.
E' tutto nuovo, la casa è nuova. Paolo ha ottenuto un posto da dirigente e quasi immediatamente grazie ai mutui agevolati per i dipendenti della Banca abbiamo comprato questo appartamento di centocinquanta metri quadri su due piani. E' troppo grande per noi, ci sono angoli bui in cui nessuno metterà mai piede.
Faccio mezzo bicchiere d'acqua a mo' di posacenere e dal primo cassetto tiro fuori il pacchetto mezzo pieno di Diana light. E' il nostro piccolo peccato da casalinghe disperate, la sigaretta della sera.
Lei è arrabbiata con me perché ha scoperto di Luca.
Ma io sono una buona madre e una buona moglie e diavolo questo è il prezzo che paghiamo, come si fa ad essere fedeli per una vita intera. Luca ha ventitre anni e non sa niente della vita, scopiamo e poi lo carezzo affettuosamente.
Voglio bene a Paolo, e gli sono grata di quello che fa per noi. Adoro aspettarlo la sera, scherzare con lui. Amo il nostro vocabolario familiare. Se questo non è amore allora cos'é l'amore.
- Dovresti darci un taglio, dice lei.
- Non sono affari tuoi.
- Sono sempre tua madre.
Sarà sempre mia madre. Come papà sarà sempre mio padre.
Ricordo l'immagine della porta del cimitero, un grande muro, alto, circondato di sterpaglie bruciate dal sole. La porta gotica con la grande croce al centro, le due piccole finestre sbarrate simmetriche, l'aria immobile nel pomeriggio di Agosto. Ci sono tombe singole e tombe in gruppo, nessuna aveva la terra smossa davanti.
Alcune avevano edera sulla pietra, altre foto in bianco e nero.
Papà quel giorno aveva solo calce intorno ad una lastra non incisa, in alto, sopra altre persone morte.
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03 ottobre 2012

Periferia nord

Sono andato a trovare mio zio, ho dormito lì, ed al mattino alle cinque sono ripartito.
Quando la strada è diventata insopportabilmente dritta, dopo un'ora circa, ho dovuto alzare il volume della radio per tenermi sveglio. Dopo un blackout del quale non conosco la durata, il rumore sordo dello specchietto che esplode e lo stridore della lamiera mi riportano ad una coscienza piena, terrificante. Il fianco destro della mia automobile sta rumorosamente aderendo con la parete di una galleria ad una velocità di centotrenta chilometri orari.
D'istinto cerco di rimettere la vettura in carreggiata, ma perdo il controllo ed inizio a girare. Non urlo, mi adopero per sopravvivere, aggrappandomi disperatamente allo sterzo ed ai freni, cercando di arrestare questa bomba impazzita che un tempo era la mia macchina.
Improvvisamente sono fermo, immobile, vivo, con stereo e motore acceso: a meno di un centinaio di metri un autotreno si dirige verso di me a tutta velocità sbandando vistosamente. 
Sono in mezzo alla carreggiata girato contromano. -ecco è finita, penso.
Il cuore pompa all'impazzata, un'inaspettata prontezza di riflessi mi fa pestare il piede sull'acceleratore, sgommo via letteralmente proprio all'ultimo, come in quei film americani in cui il protagonista rimane bloccato sulle rotaie mentre arriva un treno.

Dopo qualche minuto di risate isteriche riesco a fermarmi in una piazzola.
Scendo, respiro, quasi vomito. Ripenso al ponte subito fuori dalla galleria, al guardrail sfondato, al trafiletto di qualche inserto provinciale "trentenne precipita da ottanta metri", -stocazzo! penso.
Giro intorno alla macchina, un disastro.

Qualche giorno dopo il tipo dell'officina mi comunica freddamente -ti costa di più metterla a posto che comprarla nuova. 
Perdita totale costruttiva la chiamano.

Ad Ottobre riconsegno le chiavi dell'ennesimo appartamento, in attesa del trasferimento definitivo ad una filiale minore, che, finalmente, ho ottenuto dopo anni di stress metropolitano.
Le ultime notti nello spazio semivuoto sono dolorose, dominate dal senso di incompiutezza e di mancanza di legame profondo con qualunque luogo.
Con profonda gratitudine accetto la sistemazione provvisoria in periferia a casa di un collega, che mi cede volentieri il suo divano. Lui ha quarantadue anni, e vive perennemente braccato dagli avvocati della moglie, per questioni di alimenti non pagati.
In questa cavolo di città è tutto a termine.

Gioco forza mi ritrovo a fare il pendolare in treno.
Il metropolitano è sempre sovraccarico, ma in pochi giorni riesco a riconoscere i volti delle persone con le quali quotidianamente condivido il viaggio.
Mi affascina una signora che poggia sempre un fazzoletto sul sedile prima di accomodarsi.
E' una donna ben vestita, sui cinquanta, con il volto magro poco truccato, ed i capelli scuri raccolti.
Indossa sempre abiti da lavoro eleganti, ha gambe da ragazza e caviglie sottili. 
Alle volte mi ritrovo anche a fare fantasie su di lei.

Sul treno serale invece incontro sempre un tipo simpatico, che come me si occupa di controllo di gestione.
Di più, direi che è un maniaco del controllo di gestione: ha una collezione di file excell sul suo portatile talmente strutturati da farmi quasi paura.
Giacomo, così si chiama, ha appena comprato un appartamento con la fidanzata, che è incinta.
La palazzina è di nuova costruzione, e parte del complesso non è ancora finita.
- dovresti fare un salto a dare un'occhiata, ci sono ottime occasioni. Mi dice.
Anche se sono in procinto di trasferirmi, una sera dopo il lavoro vado con lui a vedere le costruzioni. Riesco a dissimulare il mio orrore, manifestando persino un interesse per un possibile acquisto, memorizzando sul cellulare il numero del costruttore scritto a grandi cifre su un cartellone.
- proverò a sentire cosa hanno per me dai
- magari! sarebbe bello avere qualcuno di conosciuto nei paraggi, sai per una birra, per sfuggire ogni tanto dalla signora! Sai cosa intendo no. E mi fa l'occhiolino.
Mi incammino verso il mio "divano" attraverso un'umida nebbiolina che scende.
Al diavolo, penso. Forse ha ragione lui. Cerca di mettere radici, anche se in un posto di merda. Ama quello che fa. (si cazzo il controllo di gestione!) Questo mio snobismo stronzo da perenne straniero non mi fa bene.
Citofono all'interno del mio collega, e mi rammarico riguardo la sega che non potrò tirarmi pensando alle caviglie della cinquantenne sul treno.

Qualche settimana dopo, l'ufficio del personale mi convoca per formalizzare il mio trasferimento a decorrere dal lunedì successivo. La prospettiva del cambiamento mi entusiasma, e torno alla mia scrivania con un sorriso ebete stampato sulla faccia. Faccio pollice su alla collega che risponde con una smorfia.
Quella sera porto a cena fuori il mio ospite divorziato. Pago io, per sdebitarmi dell'ospitalità e perché lui è perennemente nelle canne.
- Beato te che te ne vai, hai fatto la cosa giusta.
- Non so mica, le prospettive di carriera lì sono minime, ma almeno mi levo da questo inferno di periferia nord.
- Ti sembrerà una stronzata, ma nelle giornate di sole senza questa nebbia di merda, questo posto fa ancora più schifo, eppure nel profondo lo amo.
- Sarà, dico io.

Mentre lui guida verso casa mi chiama mia zia sul cellulare; da quando ho distrutto la macchina non sono più riuscito ad andare da loro.
- Dicono che non lo operano, che l'aorta potrebbe esplodere da un momento all'altro, che l'operazione è troppo pericolosa per uno nelle sue condizioni. 
- Mi spiace zia.
- Non resta che aspettare ora.
- Aggiornami, salutamelo, appena posso vengo lì.
Guardo la strada, ed il mio collega che smanetta con l'autoradio.
Perdita totale costruttiva, penso.
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