11 dicembre 2011

Šostakovič

Prova a rannicchiarsi per proteggersi dai calci, ma quelli arrivano, implacabili.
Colpiscono con furia, e lui sente scricchiolare ossa che neppure immaginava di avere.
Schiaccia il volto a terra in una maschera di dolore e lacrime.
Nello stanzino, gli aguzzini gli ricordano che il corpo umano è fragile, malleabile.

Saranno almeno due ore che sono sveglio.
Posso iniziare a bere senza sentirmi in colpa.

Deduce che fuori ci sia la neve attraverso il pallore lunare della stanza.

Mi piace la neve.
Ma la neve è il segnale che devo muovermi.

L'unica cosa al mondo che gli interessa è Camilla.
Quando sorride, attraverso gli occhi belli, dietro la chioma selvaggia di riccioli biondi, la sua anima si scioglie. Lei è la sua casa, la sua redenzione, ma vederla è sempre più difficile.

E poi non voglio quando puzzo di vino. Sempre.

E' da molto tempo che pianifica il furto: sa bene che non ci sono altre soluzioni, che comunque non avrebbe trovato abbastanza soldi in tempo.
Il piano è molto semplice: entrare, prelevare, uscire. Senza divagazioni, senza alzare la testa, come se fosse la cosa più normale di questo mondo. 

Cazzo, non ci si improvvisa così a quarant'anni.
Gli zingari iniziano ad otto nove anni, sono lesti, invisibili.

Lui, invece, ha l'impressione di avere un neon in testa.
Un cartellone pubblicitario del tipo "ehi, gente! guardate qui che schifo fa quest'uomo".
Comunque, la decisione era presa.

Camilla amore mio.
A Gennaio io mi dissolverò come cenere. 
Ma voglio che tu possa sorridere una volta per merito mio.
In fondo io sono già sparito, io non esisto.
Si esiste solo se si è importanti per qualcuno.
Ma per tutto il viaggio, mi basterà quel tuo sorriso.
Portarlo con me nel gorgo.

Fa la doccia.
E' come se migliaia di spilli ghiacciati gli perforassero il corpo e si sente immediatamente più vigile, pronto all'azione. Beve solo alcuni bicchieri per bloccare i tremori e concentrarsi sull'azione.

La città brulica di attività. 
I negozi sono immensi alveari schizofrenici.
Le ragazze per strada hanno la gonna, le gambe colorate, e dei begli stivali. 
Vanno a passo svelto cariche di buste, felici nei loro cappotti.

Entra nel grande negozio e finge di interessarsi alle cose come un comune avventore; soppesa oggetti, poi passa oltre.  
Infine, con un po' di impazienza, passa all'azione.
Il gesto è ordinario, fino alla barriera fisica ed immaginaria tra il lecito e l'illecito.

La oltrepassa.
Una voce: "signore, scusi".
Fa finta di niente.
Ancora quella voce: "signore, prego, di qui!".
Aumenta il passo, che in pochi metri diventa corsa.

E' fatta. Ce l'ho fatta.
Un raro entusiasmo gli monta dentro.

Qualcosa si frappone: un ostacolo invisibile che lo solleva da terra scaraventandolo violentemente al suolo, privo di respiro.

E' così che cadiamo.

In mezzo agli occhi increduli e disgustati dei passanti, due uomini vestiti con eleganza dozzinale, dicono "portiamolo nello stanzino".

E' così che cadiamo.

Il suo volto si riga di lacrime
mentre gli viene strappato via dalle mani il giocattolo più bello
mentre nel grande magazzino risuona una suite jazz di Šostakovič, 
e l'universo abbruttito e nero si ripiega su stesso.
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