Ho deciso che il suo nome è Adele e che io sono una stanza vuota.
Ci sono sempre reti del letto abbandonate sul ciglio delle strade di periferia, e televisori rotti.
Immagino Adele cercare libri sui vecchi scaffali delle biblioteche, e sceglierne uno solamente perché l’ultimo lettore ha un nome che le ricorda qualche uomo stanco osservato in un caffé, o perché è passato troppo tempo, come se anche le pagine avessero un’anima.
La maniglia della porta è svitata e di notte scende, a volte lentamente a volte in fretta, come sotto l’azione di una mano inesistente.
Spaventa, come lo stock! delle bottiglie di plastica durante il dormiveglia.
Ma se non dormo uccido il tempo fissando i cassonetti, in attesa che il fantasma delle cose morte passi a salvarle, a dar loro nuova vita.
Da qualche parte c’è qualcuno che aggiusta le sedie rotte.
Come in un sogno la luce lampeggiante che si stampa sul soffitto alle sei di mattina mi conferma che si, è veramente finita.
Ho deciso che il suo nome è Adele perché è di una bellezza non spigolosa ma dolce, e perché i suoi occhi grandi sembrano sempre tristi, o stanchi.
Che è vero che non si è vivi se non si è qualcosa per qualcuno all’inizio di un nuovo giorno.
Che esistiamo in funzione delle parole sottolineate, della meraviglia di essere importanti.
E che non si può essere felici senza un magnifico progetto a cui dedicarsi.
L’indifferenza è il prezzo da pagare per poter essere invisibili, e comunque è di certo la malattia di tutti i cosmonauti in viaggio.
Io, ad esempio, tanto tempo fa ero a bravo a raccontare storie di persone semplicemente fissandole ad un tavolo del ristorante o nello scompartimento del treno.
Ma non sono un cosmonauta, sono una stanza vuota, fatta della stessa sostanza dell’istante tra l’arrivo dell’ascensore al piano e l’aprirsi delle porte, della stessa ansia di proiettarsi fuori per sfuggire agli sguardi e al silenzio imbarazzato.
Adele apre la porta di casa e ad attenderla c’è un gatto nero ed antichi manuali sull’occulto.
Non ha un soffitto e sa leggere le stelle: puntando il dito su una a caso di esse pianificherà come arrivarci, ed io la amo molto per questo.
Mi dispiace non essere abbastanza, essere troppo poco, dovermi mascherare da lampione o da cassetta delle lettere, quando la incontro in una strada affollata.
Nei giorni buoni, quando vedo i treni passare, aspettando quello dopo che di certo sarà meno affollato, mi dico che, in fondo, è tutta colpa della sfortuna.
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2 commenti:
l'incontro di queste tue parole ha qualcosa di junghiana memoria...ma sarebbe troppo lungo a spiegarsi e un po folle. mi piace.
Si.
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