21 settembre 2010

L’ultima notte della Motonave Fortuna

Atti di Dio, li chiamano.
Quando persino questo colosso di ferro, che sulla terra apparirebbe come il più stupefacente dei prodigi, si manifesta per quello che è: un giocattolo in balia di forze mostruose ed incontenibili.
I più giovani restano agghiacciati, impietriti, negli interminabili attimi in cui la gigantesca prua viene inghiottita dal nero.
Gli altri, noi, distratti, scollegati, consapevoli che questo è l’oceano e che non esiste, né oggi, né mai, alcun portento umano in grado di domarlo inesorabilmente al proprio volere.
Il capitano, dall’alto del suo palazzo, osserva impotente il carico liberarsi agevolmente dal rizzaggio, basculare libero sul ponte, scomparire oltre la poderosa murata.
Il primo ufficiale è in attesa, e con lui il marconista: a breve verrà invocata l’avaria.

L’imprevista tempesta infuria, infausta come il destino, sulla nave lontana da qualunque porto sicuro.
Ed è per questo che la gente di mare non lo chiama mai viaggio, ma avventura marittima.
Persino io, che di libri nella vita ne ho letti pochi, lo so.
So che nel nostro mondo ogni cosa porta il suo giusto nome.

Forse il sole splenderà nuovamente, le onde si faranno docili e silenziose, il cielo apparirà talmente azzurro da sembrare finto, colorato da un bambino con i suoi pastelli a cera.
Forse vedremo apparire un porto, con sollievo, e i ragazzi saranno meno giovani, perché sulla nave la pelle si indurisce più in fretta.
Saranno tante le notti come questa anche per loro.
Salirà a bordo il pilota e ci guiderà all’attracco.

Domani solerti giovani avvocati dai nomi altisonanti, solicitors, adjusters, passeranno ore ed ore a fare conti, a consultare i loro sacri codici, inchiodati a scintillanti scrivanie.
Discuteranno forbitamente citando notevoli precedenti dei secoli passati, per comprendere se si trattasse o meno di un atto di Dio.

Come se Dio lasciasse la firma sulle sue opere.
Sono le persone, coi piedi ben piantati sulla terra, a credere di poter codificare e controllare gli eventi.
Cieche davanti all’anima dei sassi, sorde alla voce dello spirito che pervade il tutto.

A noi resta la certezza del mistero, la facoltà di amare il mare come la vita, consci della nostra impotenza nel fortunale.
A noi resta la luminosa speranza riposta in questa bellissima nave arrugginita e coraggiosa, il cui nome è lo stesso del fato.
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