16 luglio 2010

C'era la luna e avevi gli occhi stanchi [parte II]

Abbiamo la vita davanti, e la morte, pensò Giuseppe guardando la strada deserta.
Stella era al suo fianco, silenziosa.
Ammirarono in lontananza gli strani effetti creati dal calore sul bitume bollente.
Il mondo, a distanza di poche decine di metri, diventava incerto e traballante.

Erano le ultime ore insieme, ma avevano deciso di fingere che tutto fosse normale, come nei pomeriggi in cui passeggiavano per le campagne per andare a nuotare nel fiume: giorni d'estate in cui le parole ieri e domani rappresentavano concetti vuoti. Tutto era lì, tangibile, immediato, riflesso nell'acqua freddissima che scorre lentamente, nel guizzare visibile dei pesci, così vicini che a volte sembrava quasi di poterli acchiappare.

Giuseppe vide all'angolo della strada i travestiti, e decise di girare al largo.
Spesso tiravano calci ai passanti quando erano di cattivo umore.
Altre volte erano più gentili, ma non quando faceva così caldo.

Accelerarono un po' il passo, attraversando il cimitero dei camion.
Stella era affascinata da quel posto lugubre ed al tempo stesso magico, dove giacevano, immobili da secoli, le carcasse dei giganti trattori, gli scheletri dei lunghissimi rimorchi che sembravano relitti di navi o balene arenate sulla battigia.
Lui pensò di nuovo, malinconico, "presto sarò come loro, svuotato dell'anima".

"Sei stanco Giuseppe?", disse Stella, preoccupata per il suo amore che respirava visibilmente a fatica.
"No Stella, andiamo avanti, ci siamo quasi dai".

Ed arrivarono al faro.
In lontananza la spiaggia dei turisti, ancora affollata nonostante fosse quasi ora di cena.
Non si capiva dove iniziasse una persona e finisse un'altra, come un tappeto di otarie ammucchiate su uno scoglio.
Giuseppe amava guardare il mare sbattere con forza sulle pietrone alla base del faro, con un'energia tale da consumare lentamente la roccia.

Non c'era più niente da dirsi, sapevano tutto l'uno dell'altra.
Non restava altro da fare che vivere intensamente quegli ultimi momenti insieme, respirare l'aria con ingordigia, nutrire gli occhi con il cielo sereno, abbuffarsi del profumo del mare.
Il sontuoso banchetto dell'universo.

Attesero la sera.
Il fresco, le luci della città in lontananza e le stelle sopra di loro.
Giuseppe sentì il respiro sempre più affannoso, ma volse lo sguardo verso Stella, che si era dolcemente addormentata al suo fianco, e si tranquillizzò.
La luce tremula della luna sul mare la rendeva ancora più bella, e lui nutrì ancora un po' la propria anima di lei, della sua immagine, della sensazione del contatto.
L'avrebbe portata con sé, ovunque sarebbe andato.
Ormai era pronto per il suo viaggio.

Il mattino successivo avrebbe salutato la mamma, che avrebbe pianto di sicuro.
Ma lui sarebbe stato forte, dicendo addio come si conviene.
Con una bella leccata, con l'entusiasmo di quando era un cucciolo, un'infinità di tempo prima.

Poi sarebbe salito in macchina con papà, e nel parcheggio si sarebbero detti "ciao" da amici, da fratelli, da uomini, da compagni di viaggio.

E Giuseppe sarebbe stato sereno, sul lettino immacolato del veterinario.
Pensando alla sua Stella, nell'attimo in cui una piccola puntura avrebbe addormentato per sempre il più bel cane della città.

ps. Parte II, perché c'era la luna e avevi gli occhi stanchi in principio non era un racconto.
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