13 ottobre 2006

So che tu sei, ma cosa sono io.

Karamazov aveva trovato questa strano sarcofago mezzo sepolto dalle sabbie radioattive e con somma fatica e rischio era riuscito a disseppellirlo.
Aveva trovato una chitarra, senza sapere cosa essa fosse. Semplicemente lo stupendo tesoro del sarcofago, a metà tra un fucile d'assalto e una racchetta da pallacorda.
Ogni tanto la estraeva dalla custodia e la scorreva tra le mani, assaporando le asperità del legno, studiandone la forma armoniosa.
Karamazov non era mai stato un cervello, né se ne faceva un cruccio, perché per vivere nel suo mondo era necessario non farsi troppe domande. Ed in questa buona abitudine, essere un po' lenti di comprendonio, poteva essere d'aiuto.
Tutti si suicidavano. Quelli che leggevano i libri si suicidavano. Quelli che si innamoravano si suicidavano. Quelli particolarmente intelligenti si suicidavano. I potenti si suicidavano.
Ne uccideva più il pensiero, la bramosia, la speranza, che il fallout.
Il mondo stava diventando esclusivo retaggio dei ritardati.
Ma poi in ritardo rispetto a chi, a cosa, in una notte lunga ed immutabile nella quale neppure misurare il tempo aveva il benché minimo senso.
Karamazov amava collezionare oggetti del passato. Voleva creare una memoria che non aveva.
Immaginava la vita degli oggetti che trovava, e conoscerne l'uso non era essenziale allo scopo della memoria. Perché sapere che la macchina da scrivere che custodiva gelosamente potesse servire per scrivere piuttosto che per pescare o fare musica non era assolutamente necessario. Tip tap tip tap. A Karamazov gli oggetti servivano per sognare, scorrendo le dita tra i fantastici ingranaggi di un orologio da taschino, o riflettendo il proprio sguardo sulla superficie di un compact disc.
Insomma era riuscito a sopravvivere alla morte generalizzata semplicemente creando il mondo da zero.
Perché in fin dei conti la realtà non esiste, è pura emanazione della ragione.

Nessun commento:

Lettori fissi