18 luglio 2012

Come ho giocato papà?


E' il momento. 
Appoggio la borsa sulla panca, appendo la giacca al pomello.
Lentamente slaccio la camicia, sfilo i pantaloni ed i calzini.
Non mi guardo allo specchio, non rifletterebbe ancora ciò che mi aspetto di vedere.
Indosso i pantaloncini, la maglietta lucida, i calzettoni rossi, li fisso stretti alle gambe con il nastro e li tiro giù fino alle caviglie.
Mi siedo, apro la cerniera inferiore del borsone ed un odore forte di grasso mi riempie le narici.
Le vecchie Kaiser sono ai miei piedi, nere, lucide, aderenti come guanti.
Così bardato, lo specchio in tutta onestà mi restituisce l'io di un tempo, il formidabile terzino dei campi della provincia.
Mi piego sulle ginocchia e le sento indolenzite.

Oh, se ci avesse pensato, la prima sera che fece le scale a un gradino per volta! 
Non gli venne il più lontano dubbio che quella sera fosse molto triste per lui, che su quei gradini, in quell’ora precisa, terminasse la sua giovinezza.

Faccio un paio di saltelli e sono nel corridoio.
Riscopro pieno di gioia il trac-trac-trac inconfondibile e familiare degli scarpini sul pavimento.
Mi scaldo un po' con gli altri, faccio i vecchi esercizi, e gli scatti brevi, mai calciare a freddo.

Un tempo si entrava in campo in due file, l'arbitro in testa, i capitani, i portieri e tutti gli altri. 
Ci si radunava al centro ed al fischio si salutava il pubblico.
Mi volto verso le piccole gradinate deserte sperando di vedere mio padre, che era lì ogni sabato pomeriggio della stagione.
Io sgroppavo come una furia, e poi alla fine, quando uscivo con la borsa in spalla e i capelli bagnati lui mi aspettava fuori dallo spogliatoio, ed io sempre gli chiedevo "Come ho giocato papà?".
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