Mi ricordo persino di un viaggio in treno, una domenica sera di oltre cinquanta anni fa.
Le stazioni divorate dal buio.
Mi affacciavo ai finestrini appannati per intravedere la banchina, il cartello con il nome della città, i pochi passeggeri frettolosi verso il sottopassaggio, i movimenti sonnolenti del capostazione.
A pochi sedili di distanza una giovane donna con i capelli scuri ed il viso dolce trascorreva il tempo leggendo distrattamente un grosso libro sgualcito. Ricordo nitidamente la sua immagine.
Quando i nostri sguardi si incrociavano, lei, pudica ed imbarazzata, abbassava gli occhi sul libro.
Forse è per la divisa da Carabiniere, in borghese non mi succede mai.
Io non ho mai letto un libro in vita mia.
Ho la quinta elementare, e ai miei tempi era un titolo degno di rispetto.
Intorno a mezzanotte chiesi al capotreno quanto mancava a Rivoli, e questi, consultando meccanicamente l’orologio, prossima stazione.
Sperai che la ragazza con il viso dolce scendesse e che nessuno la attendesse sulla banchina.
Mi sarei certamente offerto di portarle il bagaglio e magari di accompagnarla fino a casa, forte della tranquillità infusa dalla divisa.
Il treno iniziò a rallentare, e lei non accennò a prepararsi. Con calma tirai giù la mia borsa militare, indossai il pesante cappotto, e lasciando lo scompartimento accennai un saluto al quale lei rispose con un sorriso e un formale buonasera.
Ricordo la nebbia ed il freddo pungente di quella notte, i miei passi decisi verso la caserma, dalla quale sarei uscito, dopo un lungo periodo, con il grado di maresciallo.
Poi, spesso, i ricordi svaniscono, tutto si fa confuso nella mia mente, come se non avessi mai vissuto.
Non so più dove sono, se nella mia stanza, se in un ospedale, se in una bara.
Io che sfrecciavo in motocicletta, con gli stivaloni militari, ora non riesco più neanche ad andare a pisciare da solo.
I miei figli parlano della malattia e del breve futuro che mi attende come se non fossi presente, come se non potessi capire più nulla. Guardo le immagini della televisione senza riuscire a seguirne il filo logico, neanche gli stupidi giochi a quiz.
Ma ogni tanto la mia anima torna a galla, come un uomo in mare nell’estrema lotta per la sopravvivenza, e mi solleva constatare che è ancora tutto sepolto dentro di me, che non sono diventato un guscio vuoto.
Le scorribande con Serra alla radiomobile. Il negozio di alimentari di mia moglie e il suo seno prosperoso. Il profumo del pane appena fatto. La terra fredda e bagnata, i mattoni della casa da costruire.
In tv una ragazza di colore canta “Monastero e’ Santa Chiara”, tendo l’orecchio, qualcosa dentro di me si smuove. Stupito, scopro di essere ancora in grado di sentire qualcosa di simile ad un’emozione.
Da fuori, è solo un sorriso inebetito.
Tutto bene allora, sono vivo.
.
Le stazioni divorate dal buio.
Mi affacciavo ai finestrini appannati per intravedere la banchina, il cartello con il nome della città, i pochi passeggeri frettolosi verso il sottopassaggio, i movimenti sonnolenti del capostazione.
A pochi sedili di distanza una giovane donna con i capelli scuri ed il viso dolce trascorreva il tempo leggendo distrattamente un grosso libro sgualcito. Ricordo nitidamente la sua immagine.
Quando i nostri sguardi si incrociavano, lei, pudica ed imbarazzata, abbassava gli occhi sul libro.
Forse è per la divisa da Carabiniere, in borghese non mi succede mai.
Io non ho mai letto un libro in vita mia.
Ho la quinta elementare, e ai miei tempi era un titolo degno di rispetto.
Intorno a mezzanotte chiesi al capotreno quanto mancava a Rivoli, e questi, consultando meccanicamente l’orologio, prossima stazione.
Sperai che la ragazza con il viso dolce scendesse e che nessuno la attendesse sulla banchina.
Mi sarei certamente offerto di portarle il bagaglio e magari di accompagnarla fino a casa, forte della tranquillità infusa dalla divisa.
Il treno iniziò a rallentare, e lei non accennò a prepararsi. Con calma tirai giù la mia borsa militare, indossai il pesante cappotto, e lasciando lo scompartimento accennai un saluto al quale lei rispose con un sorriso e un formale buonasera.
Ricordo la nebbia ed il freddo pungente di quella notte, i miei passi decisi verso la caserma, dalla quale sarei uscito, dopo un lungo periodo, con il grado di maresciallo.
Poi, spesso, i ricordi svaniscono, tutto si fa confuso nella mia mente, come se non avessi mai vissuto.
Non so più dove sono, se nella mia stanza, se in un ospedale, se in una bara.
Io che sfrecciavo in motocicletta, con gli stivaloni militari, ora non riesco più neanche ad andare a pisciare da solo.
I miei figli parlano della malattia e del breve futuro che mi attende come se non fossi presente, come se non potessi capire più nulla. Guardo le immagini della televisione senza riuscire a seguirne il filo logico, neanche gli stupidi giochi a quiz.
Ma ogni tanto la mia anima torna a galla, come un uomo in mare nell’estrema lotta per la sopravvivenza, e mi solleva constatare che è ancora tutto sepolto dentro di me, che non sono diventato un guscio vuoto.
Le scorribande con Serra alla radiomobile. Il negozio di alimentari di mia moglie e il suo seno prosperoso. Il profumo del pane appena fatto. La terra fredda e bagnata, i mattoni della casa da costruire.
In tv una ragazza di colore canta “Monastero e’ Santa Chiara”, tendo l’orecchio, qualcosa dentro di me si smuove. Stupito, scopro di essere ancora in grado di sentire qualcosa di simile ad un’emozione.
Da fuori, è solo un sorriso inebetito.
Tutto bene allora, sono vivo.