18 gennaio 2010

Quello che ero, non quello che sono

Mi ricordo persino di un viaggio in treno, una domenica sera di oltre cinquanta anni fa.

Le stazioni divorate dal buio.
Mi affacciavo ai finestrini appannati per intravedere la banchina, il cartello con il nome della città, i pochi passeggeri frettolosi verso il sottopassaggio, i movimenti sonnolenti del capostazione.

A pochi sedili di distanza una giovane donna con i capelli scuri ed il viso dolce trascorreva il tempo leggendo distrattamente un grosso libro sgualcito. Ricordo nitidamente la sua immagine.
Quando i nostri sguardi si incrociavano, lei, pudica ed imbarazzata, abbassava gli occhi sul libro.
Forse è per la divisa da Carabiniere, in borghese non mi succede mai.

Io non ho mai letto un libro in vita mia.
Ho la quinta elementare, e ai miei tempi era un titolo degno di rispetto.

Intorno a mezzanotte chiesi al capotreno quanto mancava a Rivoli, e questi, consultando meccanicamente l’orologio, prossima stazione.
Sperai che la ragazza con il viso dolce scendesse e che nessuno la attendesse sulla banchina.

Mi sarei certamente offerto di portarle il bagaglio e magari di accompagnarla fino a casa, forte della tranquillità infusa dalla divisa.

Il treno iniziò a rallentare, e lei non accennò a prepararsi. Con calma tirai giù la mia borsa militare, indossai il pesante cappotto, e lasciando lo scompartimento accennai un saluto al quale lei rispose con un sorriso e un formale buonasera.


Ricordo la nebbia ed il freddo pungente di quella notte, i miei passi decisi verso la caserma, dalla quale sarei uscito, dopo un lungo periodo, con il grado di maresciallo.

Poi, spesso, i ricordi svaniscono, tutto si fa confuso nella mia mente, come se non avessi mai vissuto.
Non so più dove sono, se nella mia stanza, se in un ospedale, se in una bara.

Io che sfrecciavo in motocicletta, con gli stivaloni militari, ora non riesco più neanche ad andare a pisciare da solo.

I miei figli parlano della malattia e del breve futuro che mi attende come se non fossi presente, come se non potessi capire più nulla. Guardo le immagini della televisione senza riuscire a seguirne il filo logico, neanche gli stupidi giochi a quiz.

Ma ogni tanto la mia anima torna a galla, come un uomo in mare nell’estrema lotta per la sopravvivenza, e mi solleva constatare che è ancora tutto sepolto dentro di me, che non sono diventato un guscio vuoto.

Le scorribande con Serra alla radiomobile. Il negozio di alimentari di mia moglie e il suo seno prosperoso. Il profumo del pane appena fatto. La terra fredda e bagnata, i mattoni della casa da costruire.

In tv una ragazza di colore canta “Monastero e’ Santa Chiara”, tendo l’orecchio, qualcosa dentro di me si smuove. Stupito, scopro di essere ancora in grado di sentire qualcosa di simile ad un’emozione.
Da fuori, è solo un sorriso inebetito.
Tutto bene allora, sono vivo.
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11 gennaio 2010

Le mirabolanti avventure di Pataton il gatto

Volo! Dice Pataton il gatto, ritto sulla balaustra del ponte più alto della nave.
La brezza salina gli schiaffeggia i baffi belli, mentre decine di metri più in basso le onde di un mare immenso avvolgono dolcemente la murata della Prosperity.

Pataton è un gatto importante e rispettato a bordo, incubo dei topastri a caccia di delizie tra la stiva e i container.

Il marinaio cuoco, un omone dalle mani enormi e dalla voce tonante, ha addosso tutti i profumi del mondo: il mare, il fuoco, la zuppa, il sugo. Alla fine del rancio, pulisce i piatti della ciurma e ne raccoglie il consueto sontuoso banchetto di Pataton.

Un gatto cacciatore, d’altronde, merita di avere la pancia piena, dopo gli estenuanti inseguimenti negli angusti e umidi corridoi della gigantesca nave portacontainer.

Tra poche ore la Prosperity arriverà al porto libico di Marsa El Brega, dove spaventose braccia meccaniche, per ore ed ore, libereranno il ponte dall’ingombrante carico.
Pataton non vede l’ora di bighellonare per le strade della città, a caccia di miciotte affascinate dal suo scompigliato pelo salino, e dalle appassionanti avventure marine che nessun altro gatto al mondo sa raccontare come lui.

Una volta, anni prima, in un lontano porto della Patagonia, il nero gattone dall’occhio di ghiaccio conobbe una gattina davvero affascinante, quasi una tigrotta! , e se ne innamorò perdutamente. Scorazzarono insieme per la piccola città per due giorni e due notti, e si scambiarono promesse d’amore alla luce della stupenda luna del sud del mondo.

Ma, quando la nave aveva già i motori accesi, e si apprestava a salpare, Pataton sentì l’incontrollabile richiamo del mare e dell’avventura. Silenzioso, uscì dalla cuccia di fortuna fatta di reti da pesca abbandonate, lanciò un ultimo sguardo alla sua amata tigrotta addormentata, e corse via come il vento.

Quella notte l'oceano spazzò il ponte come mai aveva visto prima. Onde alte come palazzi inghiottivano la nave per poi sputarla fuori come se fosse una minuscola lisca di pesce ingoiata per sbaglio. Pataton pensò alla sua tigrotta abbandonata, risvegliatasi sola e turlupinata dalle sue promesse, e si sentì triste: salì in coperta nella notte burrascosa, e promise alla luna che non si sarebbe innamorato mai più.

Perché Pataton è un gatto di mare, e il gatto di mare è fatto per essere solo, sempre in viaggio da una parte all’altra del mondo, con i baffi spazzati dalla brezza marina, il pelo salino, amico di uomini barbuti e dalle mani forti, libero come un gabbiano o un balenottero nell’oceano.

Ogni tanto il marinaio cuoco dalla voce tonante gli dice “un giorno, quando saremo stanchi, verrai a casa con me a Novosibirsk”. Pataton fa le fusa, inarca la schiena e si fa carezzare, lasciando credere all’omone che le cose andranno così.
Ma il gatto ha già una padrona, una ragazza dolce dagli occhi tristi, e un giorno tornerà da lei, a raccontarle le sue avventure, e si farà perdonare per essere scappato così, di punto in bianco, alla ricerca dei confini del mondo.

- Quindi un giorno rivedremo Pataton, papà?
- Ma certo piccolo! Alla fine delle sue strabilianti avventure tornerà qui, e dormirà sulla pancia della mamma, come se non fosse passato neanche un giorno da allora.
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