L'agente immobiliare era troppo giovane per sembrare
davvero affidabile, ciò nonostante andai con lui in agenzia, versai un acconto
di due mesi e presi le chiavi. Avevo fretta di sistemarmi a Milano.
La casa era mono-esposta su viale Monte Ceneri, con le due
finestre che davano proprio sul cavalcavia.
Aveva un piccolo salotto con cucina, camera da letto,
bagno. Le stanze erano arredate in un sobrio stile degli anni sessanta,
con i mobili in legno scuro venato, e la cucina in formica.
Dopo un passaggio al supermercato per procurarmi il
necessario, lavai sommariamente il pavimento e il bagno. In cucina c’erano
residui di grasso sul piano cottura e sulle piastrelle, e la cappa di
aspirazione produceva un suono agonizzante.
Le pagine di quotidiano poggiate sopra i componibili più
alti erano vecchi di almeno cinque anni. Rimossi la carta, senza
resistere alla tentazione di leggere qualche notizia.
Accesi il 20 pollici a tubo catodico Inno Hit e mi stupii
nel constatare che prendeva i canali del digitale terrestre, forse grazie a
qualche adattatore.
Avevo mandato decine di curriculum ricevendo pochissime
risposte; non percepivo più il sussidio di disoccupazione da alcuni mesi e mi
trovavo in una situazione economica disastrosa.
Quando un'azienda mi chiamò, fissai il colloquio nel giro
di pochi giorni e mi presero come magazziniere, con paga minima e buoni pasto. Iniziai
subito.
Nei primi giorni affiancai la persona che dovevo
sostituire, un vecchio albanese che di lì a poco sarebbe tornato in patria.
L'albanese lavorava lì da qualche anno, ed i camionisti lo
trattavano con rispetto.
- Ai camionisti
non gli puoi far fare il cazzo che vogliono, hai capito?
L'albanese aveva 65 anni, ma ne dimostrava meno. Era arrivato
in Italia nel 1992, e negli anni aveva lavorato come operaio edile, imbianchino,
magazziniere, mettendo da parte una bella sommetta in Albania.
- Io non faccio come i ragazzi che si spendono tutto al bar, ogni
mese mando i soldi a mia moglie e mi tengo solo quello che mi serve.
Mi disse che aveva recentemente finito di costruire per la
sua famiglia una villetta nei pressi di Pogradec, quasi al confine con la
Macedonia, e che nel giro di qualche settimana avrebbe preso per l'ultima volta
l'autobus da Milano per ricongiungersi con la moglie, i 5 figli, ed i nipoti.
Una mattina andando al lavoro, sulla 91 mi misi a
chiacchierare con una ragazza, l'avevo incrociata diverse volte. Lei avrà
avuto trentacinque anni, era grassa, forse oltre i cento chili.
Faceva molto caldo ed eravamo entrambi sofferenti.
- Bel modo per
iniziare la giornata eh?
Mi rispose, - Vuoi
mettere? Fai la sauna gratis.
Di solito ci limitavamo ad un saluto a distanza, altre
volte ci capitava di sedere vicini e chiacchieravamo sulle letture comuni o sui
film.
Un giorno lei mi raccontò che andava ogni mattina in
ospedale per seguire una terapia per perdere peso. Tutto era iniziato anni
prima dopo un incidente stradale molto grave, che era costato la vita ad una
sua amica ed al suo cane. Riusciva a raccontare con un certo distacco le
circostanze dell'incidente, aggiungendo una nota sarcastica sul non aver messo
le cinture di sicurezza al cane che era stato sbalzato fuori dalla macchina. A
causa del senso di colpa si era rifugiata in maniera compulsiva nel cibo. Disse
che la terapia le stava dando grandi benefici.
Questa storia generò un'improvvisa intimità alla quale non
ero preparato.
Nei giorni successivi mi limitai a prendere una corsa
qualche minuto prima per evitarla.
Avevo deciso di esplorare un po' la città, ma in breve mi
ero reso conto che non c'era molto da vedere, perciò passavo le mie sere a
casa. Mi facevo una pasta al burro e la mangiavo davanti alla televisione.
Il cavalcavia era trafficatissimo fino alle nove di sera,
ed era impossibile tenere le finestre aperte a causa del rumore e dei fumi
delle macchine.
Il caldo era schifoso, ed andavo a dormire nudo, senza
lenzuola; fu in quel periodo che iniziai a notare le punture. Al mattino, ne
trovavo sul collo, sulle braccia e sulle gambe. Prima poche, poi tantissime.
Inizialmente pensai alle zanzare ma, indagando meglio, in un angolo poco
visibile del materasso, scoprii una gravissima infestazione di cimici del
letto.
Per diverse notti le cimici si erano nutrite del mio
sangue, il disgusto mi paralizzò.
Buttai subito via il materasso, e spruzzai tonnellate di
insetticida in camera da letto, e per un po' decisi di dormire sul divano.
Era l'ultima settimana dell'Albanese. Mi disse che lui si era abituato da tempo a vivere in case infestate da scarafaggi o cimici. - A Milano sono tutte così.
In particolare recentemente aveva condiviso un appartamento
con altri cinque ragazzi slavi, per risparmiare ancora un po' prima di tornare
in patria.
- Di notte potevamo
sentire il rumore delle zampe degli scarafaggi sul pavimento, e tante volte te
li trovavi pure sulla faccia. Dopo un po' ti abitui, tanto mica ti mordono.
Alle volte accendevo la lampada improvvisamente e vedevo tutti gli scarafaggi
correre via a nascondersi. Mica li becchi alla luce quei figli di puttana.
- Però cazzo che
schifo, i miei mordono cazzo, guarda qua.
Gli mostrai i segni sulle braccia.
- Eh ma le case
sono vecchie, si nascondono nei tubi e quando piove vengono su.
Dopo circa cinque giorni sul divano le punture
ricominciarono, e la cosa mi gettò nello sconforto: l'infestazione non era
limitata al materasso che avevo buttato. Ispezionai con cura tutti gli
angoli della casa senza trovare nulla, solo escrementi ed insetti morti, ma non
il nido. Smontai il divano, niente, solo polvere, capelli, residui di
vite passate. Irrorai l'intera casa con un potente insetticida, il cui odore
acre mi bruciava le narici.
L'agenzia disse che non poteva aiutarmi, e che avrei dovuto
farmi carico delle spese della disinfestazione.
Trovai una ditta che fece una prima ispezione. La
disinfestazione sarebbe costata più di mille euro, e per quindici giorni sarei
stato costretto a stare fuori di casa.
- non è facile
purtroppo, mi disse il titolare al
telefono - se non si riescono a trovare
tutti i nidi, l'infestazione continuerà a presentarsi anche cambiando i mobili.
Speriamo di non dover togliere la carta da parati, perché altro che mille euro.
Ero veramente in crisi. Non avevo i soldi per pagare
l'intervento, né per andare in albergo o in un altro appartamento, e non potevo
neanche assentarmi dal lavoro.
Decisi di arrangiarmi da solo: dormivo su un materassino,
avvolto in un sacco-lenzuolo cosparso di repellente per insetti. Ispezionavo
maniacalmente la mia pelle al mattino alla ricerca di tracce di punture che,
periodicamente, ricomparivano, facendomi cadere in una tetra frustrazione.
Sulla 91 la ragazza mi si avvicinò, - ehi, hai un
aspetto terribile. Come stai?
Le raccontai la storia delle cimici e lei mi disse di
stare attento, perché potrei averle anche sui vestiti, ed infestare qualunque
luogo.
- sto diventando paranoico, non penso ad altro, non
dormo.
-mi dispiace molto, mi
disse, voltandomi le spalle e facendosi strada a fatica verso l'uscita.
In magazzino passavo molte ore senza fare niente. C'erano
dei momenti di picco, in cui dovevo muovermi molto velocemente, ma per la
maggior parte del tempo me ne stavo tranquillo nella garitta. Non potevo
leggere o guardare la TV, ma ascoltavo la radio ed avevo molto tempo per
pensare.
Erano passati ormai diversi mesi dalla morte di mio padre.
La sua scomparsa non aveva lasciato un grande vuoto nella mia vita quotidiana,
ci vedevamo pochissimo già da molti anni.
Eravamo come due estranei costretti a frequentarsi di tanto
in tanto: nessuno dei due ne sentiva l'esigenza, tanto meno ne traeva alcun
beneficio.
L'ultima volta che lo vidi fu circa sei mesi prima della morte,
quando era pienamente consapevole che il suo corpo si stava gravemente
consumando di giorno in giorno.
- stai tranquillo, mi
disse, non credo che morirò tanto presto, mi sento ok tutto sommato.
- sono
tranquillissimo guarda, ti vedo bene infatti, di buon umore.
Ma tossiva in maniera veramente spaventosa, come se stesse
per rompersi.
- Sai che sto
provando a finire quel corso, vorrei prendere l'abilitazione.
- Bene dai, mi
sembra una cosa buona. Hai visto qualche partita alla tv?
Quando andai via mi disse semplicemente, salutami la mamma se la vedi.
- Certo che la
vedo.
La verità è che non ci volevamo bene, in un certo momento
delle nostre vite avevamo smesso.
Per me e mia madre, lui era semplicemente la testa di
cazzo. Tanti anni fa aveva menato mia madre, e questo non gli era stato
perdonato. Non dimenticherò mai le urla di quella notte, gli schiaffi ed i
vetri rotti. Non era la prima volta, ed alla fine si beccò l'ordine restrittivo
del tribunale.
All'epoca i miei stavano ancora pagando il mutuo, quindi
mio padre non poteva permettersi un altro appartamento, e credo che per un
lungo periodo abbia dormito in macchina.
Spesso lo vedevo aggirarsi intorno a casa nostra, e anche
davanti a scuola. Quando mia madre se ne accorgeva gli urlava contro, cose tipo
- stai alla larga da noi pazzoide o - chiamo i
carabinieri . Allora lui le rispondeva cose orribili tipo - ti
ammazzo puttana, e ci guardava con occhi pieni di rabbia.
Sono cresciuto pensando che mio padre fosse un potenziale
assassino, che sarebbe entrato in casa e ci avrebbe scannati come maiali; mia
madre me lo ripeteva sempre.
Solo molti anni dopo, quando le acque si erano finalmente
calmate, ho potuto avere una rapporto civile con lui.
Ma era passato troppo tempo e nessuno sapeva più niente
dell'altro. Non mi disse mai perché veniva davanti alla scuola, e decidemmo
tacitamente di non parlarne mai.
Visse in un limbo di cui so poco, finché il cancro non lo
divorò.
Mia madre ricominciò la sua vita con un altro uomo, un buon
uomo.
La prolungata privazione del sonno mi faceva avere
perennemente cattivi pensieri. A volte immaginavo che gli insetti invisibili
che di notte si nutrivano del mio sangue fossero l'equivalente del cancro di
mio padre, e che le due cose fossero collegate, come un messaggio inviato
dall'aldilà.
Me ne stavo infilato nel sacco lenzuolo con le luci sempre
accese, cercando di percepire qualunque movimento sul pavimento, con la
continua sensazione di avere qualcosa addosso.
Alle volte, in piena notte, rimanevo pietrificato a
guardare una minuscola cimice pungermi e gonfiarsi velocemente di sangue, poi
fare qualche centimetro e pungermi ancora.
Nonostante tutte le mie accortezze per debellare
l'infestazione, le cimici continuavano a tornare imperterrite ogni notte.
Capii che non avrei potuto resistere a lungo, e chiamai la
ditta per fare la disinfestazione: arrivarono al mattino presto, con le tute e
tutta l'attrezzatura.
Preparai una piccola borsa di vestiti ed uscii, senza sapere dove avrei dormito quella notte.
Chiesi al responsabile del magazzino se potevo dormire
nella garitta, ma non mi diede il permesso, perciò passai la prima notte in un
hotel economico nei pressi di Viale Certosa.
Entrai nella stanza singola, sollevai il lenzuolo per
accertarmi che il materasso non avesse le cimici, e crollai nel sonno più
riposante delle ultime settimane.
Il mattino seguente esaminai la mia pelle come al solito e
feci una lunga doccia calda, mi sentii di nuovo bene.
Sulla 91 incontrai la ragazza, e le raccontai di come si erano messe le cose, e dell'inevitabile decisione di spendere tutti i miei soldi per risolvere il problema.
Lei rise, - quale
pazzoide passerebbe settimane a dormire in una casa infestata dalle cimici?
mi disse.
Le spiegai che non avevo alternative, - a Milano non conosco nessuno, e non potevo assolutamente lasciare il
lavoro in magazzino.
Concordammo di incontrarci dopo il lavoro per bere qualcosa
insieme; non avevo alcuna attrazione nei suoi confronti, ma avevo un disperato
bisogno di avere delle relazioni umane.
- Sai? Ho pensato
che fossi un po' strano all'inizio. Però la nostra breve chiacchierata
mattutina mi fa stare bene, e mi dispiace quando non ti incrocio.
Passai le notti successive da lei, aveva una piccola stanza
in più con un letto singolo.
Facendo gli stessi orari, facevamo colazione insieme. Le
dissi che non c'era bisogno di prepararmi il caffè, che non volevo essere di
impiccio, ma lei rispose - tanto lo
faccio già per me, cosa mi costa?
Non avevo mai avuto una colazione così sontuosa in vita
mia, c'erano biscotti, merendine, cereali, succo di frutta, pane tostato con la
marmellata,
Mi prendeva la stessa frenesia che viene davanti al buffet
dell'hotel: mangiavo molto di più di quanto facessi normalmente. Lei mi
osservava con gratitudine, ma prendeva solo poche cose, spalmava un po' di
marmellata su una fetta biscottata e poco più.
Poi uscivamo e prendevamo l'autobus insieme.
Alla sera facevamo il tragitto inverso ed andavamo a casa,
dopo una breve sosta al supermercato per prendere qualcosa.
Lei era molto attenta a quello che acquistava e mangiava, e
si vedeva che doveva impegnarsi per non sgarrare.
- Sai, devo stare
molto attenta. Mi basta mettere un piede dove non si tocca ed in un attimo mi
trovo ad annaspare sul fondo per tornare a galla.
- Posso
immaginarlo, dissi, ma non era vero.
- Mi fa bene
comunque avere qualcuno insieme a me, quando si è da soli è più facile ricadere
nelle cattive abitudini.
Guardavamo molti film. Dopo il supermercato passavamo in
videoteca e ne prendevamo anche quattro alla volta. Aveva una tessera della
videoteca, ed il commesso aveva l'aria di conoscerla abbastanza bene.
Lasciavo scegliere a lei e fingevo un po' di partecipazione
nella scelta dei titoli, che era sempre piuttosto lunga.
Per la maggior parte trovavo quei film piuttosto noiosi e
mi capitava di addormentarmi a metà; il mio corpo sembrava voler recuperare le
ore di sonno perdute a causa delle cimici.
Sul divano stavamo ai due lati, senza alcun contatto
fisico; ma una sera lei invase il mio spazio e si appoggiò alla mia spalla.
Rimasi immobile, non la abbracciai, né le trasmisi alcun segnale di trarre
piacere da quel momento di intimità. Dopo qualche minuto lei sospirò e tornò a
sedersi dalla sua parte, mi disse: - ti
dispiace se lo finiamo domani? Mi è venuto davvero un gran sonno.
- Nessun problema
figurati, buonanotte.
Filai nella cameretta senza troppi discorsi.
Il titolare della ditta mi chiamò sul cellulare alle sei di
sera del nono giorno di disinfestazione.
- Abbiamo fatto tutto, le abbiamo trovate dietro ai componibili della cucina,
dietro ai battiscopa, ma in un paio di giorni può rientrare a casa.
La ragazza mi disse che potevo restare ancora qualche
giorno, ma non me la sentii di abusare ulteriormente della sua ospitalità
disinteressata che non potevo ripagare in alcun modo. Tornammo così alla nostra
routine mattutina della 91.
Dopo un anno il mio contratto da magazziniere non venne
rinnovato, e lasciai la casa in viale Monte Ceneri e Milano.
Una delle ultime notti ripensai a mio padre.
Avevo otto anni, ed eravamo andati tutti insieme a fare una
settimana al mare a Lignano Sabbiadoro, una delle pochissime vacanze in
famiglia.
Di giorno i miei prendevano il sole, ed io avevo una bella
quantità di gettoni per giocare a Cabal. Quando li finivo, mi mettevo a fianco
a quelli che giocavano per guardare e studiare i livelli.
La pensione era infima, la prima notte vidi uno scarafaggio
che camminava sul muro e urlai.
Mio padre lo uccise, girò un po' per la stanza, e poi
piazzò un asciugamani bagnato sulla fessura inferiore della porta. E poi non ne vidi più neanche uno.
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