07 febbraio 2012

Polvere

Quel pomeriggio la terra sotto i miei piedi mi sembrava solo quello che era.

Era un bel giorno di Maggio del 1993, ed avevamo avuto il permesso dai nostri genitori di portare fuori quel cagnolino schizzato di Tobias a fare una lunga passeggiata lungo il fiume.
La nonna di Daniel aveva preparato per noi uno zainetto pieno di cose da mangiare, c'erano panini con mortadella e formaggio, yoyo al cioccolato, mandarini e bottigliette di coca cola e sprite.
Oltre a noi c'erano le due cuginette di Daniel, Lia e Carmen.
Lia e Carmen si somigliavano moltissimo, con dei bei riccioli lunghi. 
Spesso le confondevo, perché le vedevo molto di rado, venivano al mare solo per pochi weekend.
Non ricordo da che città venissero, ma ricordo perfettamente che abitavano in Via Chopin. Non so perché questo particolare mi sia rimasto impresso dopo tutti questi anni.

Io ero il più grande della spedizione, ma Daniel, più piccolo di me di due anni, era il vero leader di tutti i nostri giochi. Era spericolato, e sempre pieno di idee, mi soverchiava in tutto.
Le cuginette stravedevano per lui.
Io gli stavo dietro, perché da piccolo sono sempre stato un po' timido e pauroso.

Si partiva dal mare, e, passando sotto un vecchio ponticello, si poteva percorrere per parecchi chilometri il fiumiciattolo su un sentiero abbastanza agevole, fino ad un prato dove la gente portava i cani a giocare.
Tobias era uno di quei cagnolini un po' insulsi, che abbaiava a chiunque con quel suo aspetto ridicolo.
Daniel lanciava una pallina da tennis e quello correva velocissimo a recuperarla, buttandosi tra le erbacce e nell'acqua bassa del torrente. Poi, tutto infangato correva a strusciarsi contro di noi, imbrattandoci.
Il sole era piacevole, ed io, dodicenne con gli occhialoni, ascoltavo estasiato Lia (o Carmen?), la più piccola delle due, che avrà avuto dieci anni, raccontarmi che quella era la prima volta che usciva da sola.

Forse mi ero innamorato. La sera, a letto, nelle settimane seguenti, provavo ad impostare i sogni prima di addormentarmi, in maniera tale da ripercorrerli e viverli nel sonno. Io ero il principe John, e Lia era la principessa Elizabeth, di questo sono sicuro, ma non ricordo più come proseguisse la storia.

Quel giorno al pratone non c'era nessuno.
Daniel mise subito i piedi in acqua, camminando agile tra i sassi viscidi, fino a raggiungere la cascatella.
Avrei voluto anche io, ma la sola idea di bagnarmi il pollice di un piede mi faceva pensare agli sberloni che mia mamma sicuramente mi avrebbe rifilato, se fossi tornato a casa con i jeans bagnati.
Mia mamma era una di quelle che ti infila sempre la mano nella schiena per vedere se sei sudato.

Mettemmo giù i teli per il picnic. Le ragazze prepararono tutto con grande entusiasmo, incredule di poter trasformare le centinaia di thé e biscottini coi bambolotti in un vero picnic da adulti.
Eravamo liberi, per la prima volta nella nostra vita senza il controllo a vista dei genitori.

Mangiammo i panini e gli yoyo, ed ognuno di noi raccontò storie mai vissute. 
Per farmi bello, raccontai la mia storia d'amore inventata nella vacanza dell'estate prima, all'isola di Stromboli. Anche questo lo ricordo bene, chissà perché.

Poi facemmo un po' di tiri a fresbee, uno di quelli molli con le facce da mostro, che non andava mai nella direzione desiderata. Tobias lo intercettava sempre.

Sulla via del rientro, io e Daniel progettammo giochi e avventure.
In vista del ponticello decidemmo di fare "a chi arriva primo" fin lì.

Pronti! Via! 
Ma dopo pochi metri Tobias mi agguantò una gamba, mordendo con ferocia l'orlo dei jeans.
E non c'era modo di staccarlo. 
Loro ridevano, ma io ero terrorizzato da quel cagnetto coi denti appuntiti che mi lacerava i pantaloni.
L'unica soluzione fu togliermi i jeans, rimasi in mutande. 
Daniel, Lia e Carmen, si sbellicavano dalle risate ed io ero rosso di rabbia e di vergogna.
Il più grande, preso in giro, umiliato.
Daniel con un'abile mossa riuscì a distrarre Tobias ed a liberare i miei poveri pantaloni.
Me li ri-infilai di corsa, e ricordo perfettamente la sensazione di non riuscire a trattenere il pianto. Ma non potevo piangere. Eppure loro si accorgevano che stavo piagnucolando.
"Piangi?".

Quel giorno di sole del 1993 la terra mi sembrava solamente quello che era.

A questo pensavo in una calda mattina d'autunno di quindici anni dopo.
Accompagnando impotente gli ultimi metri di Daniel, in un silenzio irreale interrotto solo da lievi soffi di vento tra gli alberi.
Ai giochi, alle corse, ai sogni, ai bisticci davanti al commodore 64.
Al nulla che lo aspettava, alla pura e semplice terra.
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